Interviste e confronti: Silvia Concari, curatrice
Spazio ppp: Ciao Silvia, ci racconteresti quale è stata la tua prima esperienza professionale come curatrice? Si potrebbe dire che “First step 10” (progetto dell’Accademia di Belle Arti di Verona) sia stato un ottimo trampolino di lancio…
Silvia Concari: Esatto, proprio così. Il Progetto “First Step 10” è stato per me un momento molto importante: prima di tutto perché mi ha aiutato a formarmi e a capire in che cosa consiste il lavoro di curatela nella creazione di una mostra, permettendomi di sperimentarlo sul “campo”, poi perché mi ha permesso di incontrare delle persone che si sono rivelate fondamentali per la mia iniziale vita lavorativa. Mi riferisco a Jessica Bianchera, curatrice indipendente, presidentessa dell’Associazione Culturale Urbs Picta e direttrice creativa di Spazio Cordis e Chiara Ventura, l’artista di cui ho curato la mostra, con la quale ho potuto instaurare un rapporto di ricerca e di stima che ci accompagna nel tempo.
SPPP: Il Veneto sembra essere sempre più una regione curiosa e attenta alle nuove pratiche del contemporaneo. Quali sono le giovani realtà artistiche che consiglieresti agli appassionati e addetti del settore?
SC: Nelle nuove generazioni un ruolo importante lo sta facendo la volontà di creare in maniera sempre più libera; di confrontarci e “confortarci” sulla società contemporanea attraverso l’arte. Questo avviene nella maniera più interessante nelle realtà ibride e fuori da un mercato di nicchia quali associazioni di arte contemporanea, collettivi e co-working artistici, cioè degli spazi espositivi che riuniscono diverse sfaccettature artistiche.
SPPP: In quanto testimone di una nuova generazione, credi ci sia un sentimento comune che pervade l’immaginazione e le energie delle nuove leve di curatori, artisti e operatori del mondo dell’arte?
SPPP: Verso quali direzioni credi possa cambiare il ruolo del curatore nei prossimi anni?
La direzione che può far cambiare il ruolo del curatore nei prossimi anni è il rischio dell’arte “instagrammabile”, quella degli opening e delle feste, quella della FOMO (fear of missing out); un’arte che ha a che fare con la visibilità come prerogativa senza magari un vero messaggio e una vera potenza di ricerca e pensiero.
Ecco, nel futuro, tutto ciò potrebbe incrementare sempre di più e il ruolo del curatore potrebbe cambiare seguendo questa direzione, rimanendo ad un livello superficiale nell’incontro con l’artista e privilegiando una funzione pubblicitaria simile a quella di un influencer che sponsorizza un prodotto, in questo caso di cultura.
Il mio auspicio è che questo non avvenga ma che si mantenga un prioritario ruolo di ricerca e di esplorazione dell’animo dell’artista.
Ora, invece, mi sto occupando di un progetto di cui vado molto fiera, perché è stato oggetto di studio della mia tesi magistrale in arte contemporanea: La collezione AGIVERONA all’Università di Verona. È recentemente partita una convenzione tra l’Università e Urbs Picta per la realizzazione di una serie di visite guidate che permettono di far vedere le numerosissime opere appartenenti alla collezione di Giorgio e Anna Fasol poste negli spazi universitari. È da molto tempo che mi occupo di sensibilizzare coetanei e non alla visita di questa collezione per la sua unicità e importanza: non è comune infatti vedere delle opere d’arte, di artisti molto importanti, nella biblioteca dove studi o negli spazi dove ti incontri con i tuoi compagni. Pochissimi, anche tra i veronesi, sono a conoscenza infatti che questa esposizione permamente (per 5 anni) è una tra le più vaste esposizioni di opere d’arte contemporanee realizzate post 2000.
Mi sto dedicando, infine, alla pianificazione di alcuni progetti molto interessanti che si svolgeranno durante il mesi autunnali e in particolare durante il periodo di Art Verona di ottobre. Spero che tutte le cose che ho in mente si realizzino e soprattutto spero di arricchirmi sempre, incontrando persone e realtà stimolanti, con cui creare nuovi legami.