Interviste e confronti: Beatrice Meoni, artista visiva


Spazio ppp: La pittura si nutre di silenzi, gesti ripetuti, ascolti visivi, intuizioni e movimenti ciechi, fallimenti stratificati e ragionamenti sedimentati. Richiede esercizio quotidiano di vita o di vita quotidiana, a seconda della propria natura. A che punto si trova il tuo lavoro, in questa primavera incerta?

Beatrice Meoni: Mi riesce difficile dare delle coordinate esatte di dove mi trovo, perché  continuo a spostarmi in territori contingenti che spesso non sono così ben definiti, già dopo i vari lockdown avevo sentito la necessità di iniziare un percorso che mi portasse in zone più marginali  prendendo le distanze da quella ripresa bulimica produttiva che aveva caratterizzato tutto quel periodo post pandemia. Mi sembrava una forzatura, un fare dissennato che voleva ritrovare nel mercato una panacea. 
Quindi sono uscita dallo studio e in un brownfield sul retro di una vecchia fabbrica, ho progettato e realizzato insieme ad altre persone, un luogo eventuale, in cui ho mescolato la pratica della composizione e della contemplazione pittorica alla coltivazione di erbe e fiori. Un luogo laterale rispetto alla pratica in studio, ma che aderiva in quel momento al mio pensiero. 
In seguito, al ritorno in studio, questa pratica in esterno, lontana dalla tela, mi ha portato ad una rilettura di Adriana Zarri e alcuni approfondimenti sui testi di María Zambrano e Anna Maria Ortese, nuovi territori in cui la pratica del silenzio, del rigore, della meditazione nei gesti ripetuti, ha preso contorni più netti. 
Per me la lettura ha una funzione essenziale, è infatti come la bacchetta di un rabdomante che mi consente di scandagliare le mie profondità accedendo a delle immagini che giacciono dentro di me e da cui mi lascio condurre nella pratica della pittura. 
Nel corso del tempo, questo movimento dalla parola ad una zona interiore e successivamente alla pratica, è diventato sempre più evidente e necessario, tanto che non posso prescindere da questo mio mondo in cui la pittura non è che una soglia da attraversare.


SPPP: L’importanza del frammento, sia esso “trama” dei supporti di Mdf che utilizzi per molti dei tuoi oli, pennellata o ceramica, sembrerebbe suggerire come il tuo lavoro sia proteso verso la ricerca di tessere sparse di un mosaico raffigurante la fuggevole/fragile sacralità del quotidiano…Senti questa lettura affine al tuo approccio nella pratica della pittura?

BM: Assolutamente sì, il processo di cui raccontavo sopra in cui la pratica affiora da un incontro tra la parola scritta e immagini interiori si evidenzia nella raccolta dei frammenti che emergono e che sono sempre un po’ laterali rispetto alle immagini evidenti. Lo studio é il luogo dove trascorro la maggior parte del mio tempo ed è limitrofo alla casa dove vivo ed è in questa continuità, in questo collegamento, che il quotidiano si trasforma e rivela questa specie di sacralità fuggevole.


SPPP: Crediamo che dipingere in qualche modo sia un tentativo di mappare la nostra collocazione nel mondo, il tentativo di tradurre in visibile ciò che echeggia nel buio delle nostre intuizioni. Come gestisci e traduci nel tuo lavoro i processi di trasformazione, siano essi di materia o idee?

BM: I processi di trasformazione, se davvero trasformativi, sono molto lenti in me e spesso difficili da imbrigliare. La pittura ne consente la lettura, ma la consapevolezza del processo richiede un esercizio di ascolto che per me accade, seppure io sia molto solitaria, nel confronto con quello che mi circonda, con gli altri.
Come accennavo sopra, l’aderenza al proprio vocabolario interiore è estremamente importante, non si sa mai dove questo conduca né se troverà la sua forma più esatta, credo sia una questione di fiducia del fare oltre che del sentire, che a volte fiorisce a volte no.


SPPP: Ascoltando la video-intervista a te dedicata, in occasione di “Io dico Io/I say I” (Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma, 2021), riferendoti a nuove letture critiche degli scritti di Carla Lonzi, dichiari l’interesse di lavorare pensando all’arte in una prospettiva femminista. Ti andrebbe di approfondire questo concetto?

BM: Le letture e gli incontri con altre donne hanno sicuramente contribuito alla mia crescita e  alla consapevolezza di quanto il pensiero femminista sia stato e possa essere trasformativo.

In un contesto attuale in cui al centro c’è un individuo narcisista sottomesso all’imperativo di godimento e a quello del presenzialismo, un individuo che investe solo sulla superficie di sé eliminando la dialettica tra essere e apparire, dicibile e non detto, il femminismo sostiene un nuovo ascolto dell’inconscio come leva di resistenza al potere.
Non si tratta di creare separazioni, ma di approfondire consapevolmente il proprio posizionamento.
E’ in questo terreno che affondano le radici alcuni miei lavori, sia quelli sul corpo legati alle cadute, sia alle composizioni legate alla frammentazione di oggetti comuni e quotidiani.


SPPP: Ci sono progetti a cui stai lavorando e di cui ci vorresti parlare (o che vorresti e non hai ancora avuto modo di realizzare)?

BM: Potrei raccontarti di progetti, di lavori nuovi o di collaborazioni interessanti, ma mi vengono in mente i versi di Aprèsludes, una poesia di Gottfried Benn con cui mi piace finire

"la natura vuol fare le sue ciliegie,
anche con pochi bocci in aprile
le sue merci di frutta le conserva
tacitamente fino agli anni buoni.
Nessuno sa dove si nutron le gemme,
nessuno sa se mai la corolla fiorisca –
durare, aspettare, concedersi,
oscurarsi, invecchiare, aprèslude".


Instagram: Beatrice Meoni


Come fiore calpestato (2021)
olio su tavola
41x33 cm