Interviste e confronti: Margaret Sgarra, curatrice e storica dell'arte




Spazio PPP: Ciao Margaret, ci descriveresti brevemente il tuo lavoro e il tuo campo di indagine?

Margaret Sgarra: Sì, il mio campo di indagine è quello dell’arte contemporanea con particolare riferimento alle installazioni, anche site- specific. Mi occupo principalmente di ideare, organizzare e curare mostre che riguardano tematiche sulle quali io stessa cerco risposte ma sono anche Storica dell’arte e mi occupo di didattica. Diciamo che cerco di indagare l’arte contemporanea sotto diversi punti di vista in modo da averne una visione più completa. Io stessa ho fatto un percorso formativo particolare passando dall’Accademia all’Università, studiando in diverse città e frequentando svariati corsi e workshop con impostazioni differenti. Per me curare significa anche fare ricerca e questo tipo di attività necessità sguardi su più discipline che si intersecano tra di loro. Penso non ci sia un campo di indagine solo, nel senso che non si smette mai di imparare.
 


Sppp: Potresti parlarci della tua visione rispetto al ruolo dell’artista del curatore nella contemporaneità?

MS: L’artista è colui che crea e dà forma alle sue idee attraverso tecniche e materiali, è una sorta di paziente. Il curatore racconta e concettualizza quello che vede, gli dà una maggiore razionalità, struttura un percorso narrativo, in questo senso "cura". 
Se l’artista condivide un suo personale punto di vista sulla società in cui viviamo (è importante che abbia qualcosa da dire) il curatore inserisce il suo punto di vista in un racconto visivo più ampio offrendo una panoramica di più punti visita, anche discordanti. E’ come se mettesse forma ad un percorso, uno schema, in alcuni casi una sorta di tesi, antitesi, sintesi, un pò come si mette in evidenza nella dialettica hegeliana. 
Penso che entrambi abbiano come ruolo quello di indurre riflessioni, bisogna stimolare il pensiero attraverso le immagini, le opere d’arte. L’arte serve a mettere in discussione e l’artista e il curatore a sollevare interrogativi. 


 
Sppp: C’è una mostra che hai curato che ti rappresenta maggiormente e per quale motivo? 

MS: Si chiama Femminile plurale, 4 artiste donne che raccontano il femminile e femminismo attraverso declinazioni e medium differenti. Sono particolarmente legata perché io stessa mi sono resa conto della complessità dell’argomento e delle difficoltà connesse alla femminilità ancora oggi. Non c’è una visione univoca sulla tematica e la pluralità è ancor più necessaria rispetto ad altre tematiche. La dinamica visiva e concettuale ha funzionato perché era dissacratoria e volutamente ambigua, a primo sguardo sembrava ludica e provocatoria ma soffermandosi sulle opere si raggiungeva un ulteriore livello di lettura, più profondo e sensibile.



Sppp: Potresti parlarci del tuo impegno e del tuo interesse rispetto al tema dell’arte e del femminismo?

MS: In quanto donna, come tutte le donne, mi sono rapportata a situazioni poco piacevoli o complesse, purtroppo, alcune erroneamente considerate normali o accettabili. Penso che sia naturale rapportarsi a questo aspetto della società per migliorarne lo sviluppo futuro. 
Attraverso il mio lavoro, cerco di dare un contributo visivo o concettuale e cerco di farlo dal mio punto di vista senza innescare conflitti o critiche, vorrei gettare dei semi che possano germogliare sotto forma di idee nella mente di chi osserva. Tutte le forme creative e di creazione danno forma ad un pensiero e questo viene reso visibile, io mi impegno a mostrarlo, poi sta a chi ne fruisce decidere come e se assimilarlo, farlo proprio, destrutturare e plasmare quello che vede. Quello che succede, la violenza di genere, gli stereotipi, i tabù, la manipolazione, la repressione riguardano tutte e tutti, l’arte può aiutare a visualizzare errori e meccanismi distruttivi. L’arte è comunicazione. 
 


Sppp: Ci sono dei progetti a cui stai lavorando di cui vorresti parlare?

MS: Sto lavorando ad un progetto che si chiama "Love is in the hair", una mostra collettiva che indaga il rapporto tra capelli, sfera affettiva e identità. Sono ossessionata dai capelli, mi piacciono le acconciature, i colori, le stravaganze. Io stessa ho un rapporto molto profondo con i miei capelli: cambio spessissimo colore e taglio ma allo stesso tempo sono molto protettiva e tendo ad andare poco dal parrucchiere. In questo momento, mi viene in mente Clementine nel film Eternal Sunshine of the spotless mind, lei cambia sempre colore e i nomi delle sue tinte sono molto curiosi, effettivamente abbiamo delle cose cose in comune.  
Penso che i capelli siano un tratto fisico capace di esprimere la nostra personalità e quello che stiamo vivendo da vicino, questo aspetto mi affascina molto e ho deciso di farne una mostra. Essendo io sensibile alle questioni sentimentali ed emotive, vedo il capello come un elemento strettamente correlato all’affettività e all’identità, quella vera e quella apparente. 
E poi amo molto l’arte tessile e per me a livello strutturale, i capelli si inseriscono in questo ambito di ricerca. 

 

Photo: Paola Calcatelli